L’erede puro e semplice risponde illimitatamente dei debiti ereditari, anche con il patrimonio che possedeva prima della successione. La legge predispone degli strumenti che permettono di evitare questa situazione e tutelarsi da un’eredità negativa.
Eredità negativa e apertura della successione
Prima di spiegare cosa fare, bisogna capire se effettivamente è necessario preoccuparsi e cioè verificare se si è in presenza di un’eredità negativa.
Per farlo, bisogna guardare l’asse ereditario ossia il complesso di beni, diritti ed obbligazioni appartenenti alla persona defunta ed individuare le componenti attive. Se queste sono inferiori all’ammontare dei debiti ereditari, c’è un problema perché i creditori dell’eredità non potranno soddisfarsi unicamente sui i beni ereditari, ma vorranno attaccare anche il patrimonio personale degli eredi.
Non bisogna però allarmarsi: l’apertura della successione – di per sé sola – non è sufficiente a far diventare un soggetto “erede”. Per diventare eredi è necessario che, entro 10 anni dall’apertura della successione, l’eredità venga accettata, espressamente o tacitazione.
Prima dell’accettazione non si parla di “eredi” bensì di “chiamati all’eredità”.
Dunque: se in un testamento figuro come erede, ma non ho accettato – né espressamente né tacitamente – l’eredità, sono ancora un chiamato all’eredità.
Il chiamato all’eredità ha davanti a sé tre strade:
- rinunciare all’eredità;
- accettare l’eredità puramente e semplicemente;
- accettare l’eredità con beneficio d’inventario.
Scopriamole insieme.
La rinuncia all’eredità
La rinuncia all’eredità è l’atto con cui il chiamato all’eredità dichiara di non voler accettare il patrimonio lasciato dal defunto. Essa viene resa innanzi al cancelliere del Tribunale dell’ultimo domicilio del defunto oppure con atto del notaio.
Ciò che conta sapere è che:
- la rinuncia deve essere totale: non è infatti possibile accettare alcuni beni e rinunciare ad altri. Se la rinuncia fosse parziale, sarebbe nulla;
- la rinuncia non deve essere preventiva, ma deve avvenire in un momento successivo all’apertura della successione.
Quando, allora, deve essere fatta? La rinuncia va fatta entro termini precisi, che decorrono dal momento in cui la successione è aperta:
- entro 3 mesi, per i chiamati all’eredità che sono nel possesso dei beni ereditari (es: il figlio che vive nell’immobile di proprietà del genitore);
- entro 10 anni, per i chiamati all’eredità che non sono nel possesso dei beni.
Per accelerare i tempi, i creditori dell’eredità potrebbero esercitare la c.d. actio interrogatoria ossia rivolgersi al Giudice e chiedere che fissi un termine entro il quale il chiamato all’eredità dichiari se accetta oppure rinuncia all’eredità.
La rinuncia all’eredità presenta un problema: quando il chiamato rinuncia all’eredità, questa “passa” al soggetto che sarebbe stato chiamato all’eredità se non ci fosse stato colui che ha rinunciato, che, in pratica, viene “saltato”.
Es: se un soggetto rinuncia all’eredità di suo padre, questa “passa” al proprio figlio, nipote del defunto.
Se l’eredità è estremamente negativa, allora, la rinuncia non è la soluzione ottimale, soprattutto se si vogliono tutelare i propri discendenti.
L’accettazione pura e semplice
Il chiamato all’eredità ha diritto, entro 10 anni dall’apertura della successione, ad accettare l’eredità. L’accettazione può essere pura e semplice oppure beneficiata.
Si parla di accettazione pura e semplice quando il chiamato accetta l’eredità “senza riserve”. Conseguenza fondamentale è che il patrimonio dell’erede e il patrimonio del defunto si fondono, senza che vi sia alcuna distinzione. I creditori del defunto potranno dunque aggredire e soddisfarsi sui beni e i crediti dell’erede, anche oltre il limite del valore di quanto ricevuto dall’eredità.
Bisogna prestare attenzione, perché l’accettazione, oltre che espressa, può essere anche tacita:
- l’accettazione è espressa quando il chiamato dichiara di accettarla oppure assume il titolo di erede in un atto pubblico o in una scrittura privata;
- l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che necessariamente implica la sua volontà di accettare, perché non avrebbe potuto compierlo se non fosse stato erede. Es: vende un bene ereditario oppure è nel possesso dei beni ereditari.
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L’accettazione con beneficio di inventario
L’accettazione con beneficio d’inventario è una dichiarazione che viene ricevuta dal notaio o che viene resa al cancelliere del Tribunale dell’ultimo domicilio del defunto. Essa evita i “rischi” dell’accettazione pura e semplice ossia evita che il patrimonio dell’erede si confonda con quello del defunto.
In questo modo, l’erede risponderà dei debiti ereditari solo ed esclusivamente con i beni ereditari e nel limite del valore di quanto ricevuto, senza doverne rispondere con il proprio patrimonio personale.
Il beneficio d’inventario in pratica
L’inventario è un documento che viene redatto dal notaio oppure dal cancelliere del Tribunale dell’ultimo domicilio del defunto e che contiene una particolareggiata e fedele elencazione e descrizione di tutti i beni ereditari. La sua funzione è quella di documentare la situazione economico-patrimoniale dell’eredità al momento dell’apertura della successione e specificare gli elementi attivi e passivi.
Per conoscere i tempi entro cui va fatto l’inventario, bisogna distinguere 3 situazioni:
- Chiamato all’eredità nel possesso dei beni – l’inventario va fatto entro 3 mesi dal giorno dell’apertura della successione, prorogabili di altri 3, altrimenti il chiamato si considera erede puro e semplice.
- Chiamato all’eredità non nel possesso dei beni che ha accettato l’eredità – l’inventario va fatto entro 3 mesi dall’accettazione.
- Chiamato all’eredità non nel possesso dei beni che non ha ancora accettato l’eredità – se fa l’inventario, la dichiarazione di accettazione dell’eredità va fatta entro 40 giorni dal compimento dell’inventario, altrimenti perde il diritto di accettare l’eredità.
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