La vicenda in esame si riferisce ad un’ipotese di revoca del testamento e nasce dalla decisione di una donna, erede in forza di un testamento olografo, di convenire in giudizio il procuratore speciale del defunto nonché i figli dello stesso. L’attrice lamentava che, con una prima procura, il convenuto avesse venduto a sé stesso i diritti su un immobile e, con una seconda procura, avesse alienato a sé stesso e ai propri figli i diritti su un altro immobile.
L’attrice chiedeva dunque che venisse dichiarata l’invalidità dei suddetti atti di compravendita, invocando la nullità o l’annullabilità delle procure, precisando che, in ogni caso, il procuratore non aveva reso il conto della propria gestione.
I convenuti si costituivano in giudizio, eccependo il difetto di titolarità dell’azione in capo all’attrice, sul presupposto che il de cuius aveva revocato il testamento con lettera raccomandata, con la quale aveva anche provveduto alla nomina di un nuovo erede universale e della quale producevano una copia.
Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettavano la domanda attorea, partendo dal presupposto che la lettera raccomandata fosse idonea a determinare la revoca del primo testamento, in quanto recante la sottoscrizione del de cuius, integralmente olografa e avente i medesimi requisiti di forma prescritti per il testamento olografo.
Ciò premesso, i Giudici evidenziavano che l’attrice – sulla quale gravava l’onere di contestazione – non aveva provveduto a disconoscere tempestivamente la conformità della copia della revoca del testamento presentata dai convenuti.
L’attrice decideva di ricorrere in Cassazione.
La ricorrente sosteneva che, in realtà, su di lei non gravasse alcun obbligo di disconoscimento in quanto fosse onere dei convenuti dimostrare che la revoca del precedente testamento era ancora esistente alla data di apertura della successione. Veniva quindi denunciata la violazione e falsa applicazione delle seguenti norme:
La Cassazione rigetta il ricorso.
La Suprema Corte, richiamandosi al dettato degli artt. 214 e 215 c.p.c., ribadisce in via preliminare che, anche se prodotto in copia, era onere della ricorrente disconoscere la conformità all’originale dell’atto di revoca, in modo formale e specifico, nella prima udienza o risposta successiva alla produzione.
Gli Ermellini respingono dunque le pretese attoree perché qualificano la lettera raccomandata come idoneo atto di revoca dell’anteriore testamento.
Scopri la nostra consulenza in materia di diritto civile
I Giudici di legittimità ricordano che, in materia di revoca del testamento, trova applicazione l’art. 681 c.c., che consente di porre nel nulla la precedente revoca di un testamento, purché ciò avvenga con le modalità di cui all’art. 680 c.c. ossia con un nuovo testamento o con un atto ricevuto da notaio. È il caso della c.d. revocazione espressa, che comporta la reviviscenza delle disposizioni revocate.
La Suprema Corte spiega che, nonostante il dato letterale dell’art. 681 c.c., è ammessa, entro dati limiti, anche la revoca tacita della revoca espressa.
La revoca del testamento è valida anche se eseguita tacitamente solo la predetta manifestazione di volontà possa essere dedotta dalla redazione di un successivo testamento le cui disposizioni siano incompatibili con quelle precedenti.
Non sono ammesse altre ipotesi di revoca tacita come, ad esempio, quella di cui all’art. 684 c.c., con la conseguenza che, una volta manifestata una volontà di revoca espressa, la successiva distruzione, lacerazione o cancellazione non è idonea a far rivivere le disposizioni testamentarie revocata.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Cassazione ha quindi rigettato il ricorso.