Ciò si verifica solo nel caso in cui vi sia una stretta correlazione tra l’abuso commesso dall’amministrazione (rappresentato dal superamento del limite di 36 mesi) e la successiva stabilizzazione del dipendente, non essendo sufficiente che l’assunzione a tempo indeterminato avvenga all’esito di un concorso (cfr. Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2021, n. 14815).
Un dipendente a termine del Comune di Bologna, con mansioni di operatore ai servizi scolastici, agiva in giudizio per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’abusiva reiterazione di plurimi contratti a termine.
La Corte d’Appello di Bologna riformava la precedente decisione del Tribunale, favorevole al lavoratore.
Rigettava così la domanda proposta dal dipendente, sostenendo che l’immissione in ruolo, avvenuta tramite un concorso riservato a personale precedentemente assunto a tempo determinato, aveva pienamente risarcito il danno sofferto in conseguenza della reiterazione di contratti a termine. Ciò, nonostante detto concorso fosse accessibile anche al personale assunto a tempo determinato da meno di 36 mesi.
Il lavoratore ricorreva dunque in Cassazione. La Suprema Corte, dopo aver richiamato precedenti decisioni adottate in materia, accoglieva la domanda del dipendente in forza delle seguenti argomentazioni.
Non vi è alcun automatismo tra avvenuta immissione in ruolo e riparazione del danno che deriva dall’abusiva reiterazione dei contratti a termine. Perché ciò avvenga, infatti, è necessario che tra assunzione e abuso vi sia una relazione immediata e diretta, sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo.
In altre parole:
Di conseguenza, per avere valenza riparatoria del danno lamentato, non basta che l’assunzione in ruolo sia stata “agevolata” dalla successione dei contratti a termine, ma occorre che essa sia stata “determinata” e sia quindi in relazione “diretta e immediata” con quest’ultima.
Entrando quindi nello specifico la Corte di Cassazione riconosce tale effetto al caso di immissione in ruolo che sia avvenuto all’esito di procedure concorsuali riservate ai dipendenti assunti con contratto a tempo determinato e bandite allo specifico fine di superare il precariato. In tali ipotesi, infatti, il dipendente precario ha la certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego.
Al contrario, nessun effetto “risarcitorio” può essere riconosciuto, secondo la Cassazione, al caso in cui l’immissione in ruolo avvenga a conclusione di una procedura di tipo concorsuale non riservata a personale precario, in cui l’assunzione è l’effetto diretto del superamento di una selezione di merito.
Alla luce di tali principi di diritto la Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso del lavoratore.
Nel caso di specie, infatti, l’immissione in ruolo era avvenuta all’esito di un concorso che, seppure riservato a dipendenti già assunti a tempo determinato, non era specificamente diretto a superare il precariato, consentendo la partecipazione anche a coloro che, pur assunti con plurimi contratti a termine, non avevano superato il limite legale dei 36 mesi.
Secondo i Giudici di legittimità, in tale ipotesi al lavoratore precario veniva accordata una mera chance di assunzione che non poteva pertanto avere alcuna efficacia riparatoria del danno in precedenza subito.
“Nel lavoro pubblico privatizzato, nelle ipotesi di abusiva successione di contratti a termine, la avvenuta immissione in ruolo del lavoratore già impiegato a tempo determinato ha efficacia riparatoria dell’illecito nelle sole ipotesi di stretta correlazione tra l’abuso commesso dalla amministrazione e la stabilizzazione ottenuta dal dipendente. Detta stretta correlazione presuppone, sotto il profilo soggettivo, che la stabilizzazione avvenga nei ruoli dell’ente pubblico che ha posto in essere la condotta abusiva e, sotto il profilo oggettivo, che essa sia l’effetto diretto ed immediato dell’abuso. Tale ultima condizione non ricorre quando l’assunzione a tempo indeterminato avvenga all’esito di una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine” (cfr. Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2021, n. 14815).
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